Se vi siete già informati un po’ su come funziona il Bitcoin, avrete sicuramente sentito parlare dei “minatori”. Ma se non sapete chi sono e che cosa fanno, allora ve lo dico io.
In una blockchain, non esistono intermediari nelle transazioni: due persone possono trasferire assets tra di loro anche senza conoscersi e senza la necessità che qualcuno garantisca per loro. Questo è possibile perché le verifiche e le approvazioni che dovrebbero essere prerogativa degli intermediari sono state trasferite al software della blockchain stessa.
Immaginiamo due persone: A che possiede 10 € e deve darli a B per regolare un conto.
Nel mondo reale, o si incontrano faccia a faccia oppure A affida a qualcuno l’incarico di trasferire i 10 € a B. Questo “qualcuno”, che può essere la banca o una persona di fiducia, deve assicurarsi che A possieda effettivamente i 10 € (deve averli sul conto corrente oppure in contanti) prima di poterli trasferire a B e chiudere la transazione. Sia A che B si devono fidare dell’intermediario affinché faccia i dovuti controlli e non si tenga per sé i soldi.
Una blockchain può essere utilizzata per effettuare la stessa transazione senza che ci sia un intermediario che garantisca proprio perché è la blockchain a fare i controlli e chiudere la transazione. Vediamo in che modo: quando A chiede di trasferire 10 € a B nella blockchain, il software verifica subito che A possegga i 10 €, andando a controllare il suo conto e tutte le transazioni precedenti; poi blocca la somma, per evitare che A possa contemporaneamente cercare di trasferirla a più persone; verifica che B esiste nella blockchain e possa ricevere; se tutti i controlli passano, la transazione viene trasferita a tutti i nodi della blockchain che hanno il ruolo di “minatori”.
Si tratta di utenti il cui compito è quello di far eseguire al programma della blockchain un algoritmo complesso con i dati della nuova transazione più quelle esistenti nella blockchain, per calcolare un valore univoco (hash). In realtà, tutti i minatori ricevono le transazioni quasi immediatamente e contemporaneamente si mettono a calcolare. Il primo che finisce, manda a tutti la comunicazione che ha terminato e aspetta che gli altri finiscano. Man mano che arrivano i risultati degli altri nodi, questi vengono confrontati con quello del “vincitore” fino a quando almeno il 51% di tutti i nodi confermano lo stesso risultato. A questo punto, si raggiunge il consenso e la transazione viene approvata; le somme sono trasferite da A a B, il nuovo “blocco” viene legato al precedente con l’hash calcolato ed infine registrato nella blockchain ed inviato a tutti i nodi, in modo che alla prossima transazione tutti posseggano la stessa versione del registro.
Il tempo di conferma delle transazioni per la creazione di un nuovo blocco varia dai 10 minuti per il Bitcoin a 10/20 secondi per Ethereum, qualche decimo di secondo per Corda di R3 fino a qualche centesimo di secondo per MultiChain.
Nelle blockchain pubbliche come quelle di Bitcoin o Ethereum, al vincitore viene assegnata una ricompensa in criptomoneta (questo è il meccanismo con il quale viene creata nuova moneta) più una commissione (già calcolata a priori) sulla transazione. I minatori potranno poi spendere i loro token, oppure decidere di convertirli in moneta reale. Ecco perché sempre più persone sono interessate a fare affari con le monete virtuali diventando minatori: basta mettere a disposizione il proprio PC per fare calcoli e si guadagna senza faticare.
Il meccanismo garantisce anche una certa imparzialità impedendo che sia sempre lo stesso minatore ad assicurarsi la vincita e il raggiungimento del 51% , poi, evita che ci possa essere un solo utente a controllare le transazioni, impedendo l’hackeraggio del sistema.
Negli ultimi anni il mercato degli hardware specializzato per minare Bitcoin, proveniente quasi interamente dalla Cina, è diventato sempre più fiorente e a costi accessibili per tutti; ma man mano che le transazioni aumentano, calcolare l’hash diventa sempre più complesso, servono processori sempre più potenti, e la commissione ottenuta diminuisce: più potenza, più hardware, più energia consumata, meno guadagni e così il rapporto costi/benefici si è fatto via via sempre meno conveniente. Alcuni ricorrono a strategie alternative: scelgono di installare i loro sistemi in grotte naturali (come i minatori veri!) o in cantina, per tenere i processori al fresco e anche di usare energie alternative come i pannelli solari, che però hanno un costo non indifferente.
È stato, ad esempio, calcolato che per tenere in vita la blockchain del bitcoin allo stato attuale, la quantità di energia necessaria per confermare le transazioni di Bitcoin è pari all’1% della quantità totale di energia consumata nel mondo.
Oggi, a seguito della speculazione sul Bitcoin che lo ha portato a valere migliaia di Dollari per bitcoin, minare è considerato ancora abbastanza redditizio, ma la cosa non è certo destinata a migliorare.
Va fatta qui una precisazione: rispetto a quando esisteva solo Bitcoin, le cose sono un po’ cambiate. Bitcoin è stata la prima blockchain pubblica nella quale ogni utente è anche minatore, con il risultato che il numero di minatori necessari a raggiungere il consenso del 51% è cresciuto in maniera esponenziale.
Bisogna anche dire che le cose cambiano completamente in una blockchain privata, nelle quali il numero dei minatori può essere limitato dagli amministratori o dalla stessa infrastruttura e il cui ruolo non è quello di guadagnare, ma quello di assicurare il consenso per l’approvazione automatica delle transazioni.
Tutto ciò dovrebbe infine essere tenuto in considerazione quando si fanno calcoli riguardo ai costi della blockchain e al risparmio che la stessa può offrire su controlli, verifiche e registrazioni automatiche rispetto a quanto si spende oggi per lo stesso lavoro effettuato manualmente.